Il 26 maggio del 1432, al prato Mazzolengo presso Caravaggio, apparve la Vergine Maria. Cosa c’entra con Sagron Mis questa storia? Di certo non mi sentirete parlare molto di religione, in particolare su questo sito, ma la nostra storia è ovviamente permeata di storie, luoghi, eventi, edifici e tradizione che proprio nella religione hanno il loro fondamento.
Così è, per la Sagra dei Marcoi, così è soprattutto per la Chiesetta dei Marcoi, la prima chiesa del nostro comune, vecchia quasi 400 anni, e ad oggi dedicata proprio alla Beata Vergine di Caravaggio.
Dell’insediamento dei Marcoi, avremo modo di parlarne in un altro momento. Già di per sé infatti, la sua piccola cappella racchiude all’interno abbastanza storie, abbastanza nomi, abbastanza vite per essere raccontata a parte.
Partiamo dal principio allora, da quell’anno 1630 in cui fu per la prima volta consacrata. Pochi anni prima, una comunità che stava pian piano prendendo forma proprio a partire da questa piccola frazione, quella stessa comunità che poi si estenderà su tutto il territorio di Sagron, edifica una piccola chiesetta, dedicandola alla Beata Vergine di Loreto.
Pochi anni dopo ci fu la benedizione del cimitero e nel 1737, oltre un secolo dopo la sua costruzione, la Chiesa dei Marcoi riuscì finalmente a trovare un suo sacerdote stabile.
Ma i giorni felici per i fedeli dei Marcoi non erano destinati a durare a lungo.
La prima sventura sulla cappella si ebbe già nel 1793, quando un devastante incendio incenerì la struttura, salvando (così narra la leggenda) soltanto la preziosissima raffigurazione della Vergine Lauretana, prontamente trasferita nella nuova chiesa di Sagron, che sfruttando la sua posizione centrale e la conformazione quasi pianeggiante del territorio su cui si poggiava, stava diventando rapidamente il fulcro sia del culto che della vita sociale del paese.
Vent’anni dopo furono Giovanni Battista e Domenico Marcon a prendere in mano la situazione e ricostruire con grande spirito di sacrificio la chiesetta, che venne dedicata alla Madonna di Caravaggio, in quanto la “vecchia” Beata Vergine di Loreto ora proteggeva la più importante chiesa di Sagron.
Ma non fu solo l’incendio a mettere a dura prova la struttura. Nel 1882 sull’area si abbatté una furiosa alluvione, che sradicò letteralmente dall’area il cimitero, mentre nel 1966 un’altra alluvione andò a danneggiare la struttura della chiesa, ancora una volta.
Oggi ai Marcoi non ci vive più molta gente, e chi vuole andare a messa la domenica sale fino a Sagron, talvolta addirittura fino al Mis, ma un giorno all’anno, attorno al 26 di maggio, la nostra comunità si riunisce in quello che è un piccolo ma importante tassello della storia di Sagron Mis, e con questo un piccolo pezzo di ognuno di noi. Alla Sagra dei Marcoi non ci sono giochi, non c’è musica e non si balla. Alla Sagra dei Marcoi c’è la messa, un fugace pranzo e poi via, ognuno di nuovo per la sua strada. Alla Sagra dei Marcoi ci si va col cuore, ci si va con amore per una tradizione che ci lega inscindibilmente da quando qui siamo nati, ed è capace di raggruppare in una giornata non solo i paesani, ma anche chi dai Marcoi, da Sagron o dal Mis se n’è andato via, magari per una vita intera ma non vuole perdersi questo importante appuntamento. Perché i Marcoi, al 26 di maggio di ogni anno, ci vengono a ricordare le nostre origini, ci vengono a ricordare che è proprio da lì che la nostra comunità è nata ed ha cominciato a svilupparsi, per poi lasciare comodamente il campo ad altre realtà, ma non prima di qualche secolo.
Chi arriva ad una piccola comunità, soprattutto spostandosi da luoghi molto popolati, può a primo impatto notare solamente la scarsità di persone, sentire solo commenti sull’abbandono, vedere il turismo fine a se stesso, alle belle montagne e ai boschi.
Oggi ho fatto un giretto, prima volta alla sagra ai Marcoi.
C’è stata una messa all’aperto, appena fuori la bella chiesetta.
Alla fine del rito tutti a tavola, cibo genuino, buono, abbondante.
Un bimbo prende per sfinimento una mamma perché vuole correre con la bicicletta e la mamma
cede alle sue richieste, lui è un intrepido e spavaldo centauro.
Gente che ride di cuore nel vederlo passare ai margini delle tavolate.
Chiacchiere ad alta voce e schiamazzi coprono la musica.
Vecchi serviti con vera gioia da giovani.
Due cagnetti fanno i bulli.
Famiglie, amici.
Un po’ di confusione, di quella sana.
Qualcuno si impegna a documentare l’evento, importante per tutte queste persone.
Oggi ho notato solo cose belle, espresse da sguardi e sorrisi sconosciuti che hanno una eco nella mia memoria.
E’ stato bello parteciparvi.
I numeri non mentono, c’è poca gente, la sagra è piccola, ma chi ci va , chi tiene vivo questo giorno e questa tradizione la fa grande.
Grazie per questo tuo commento, è davvero bello sapere che il nostro lavoro viene apprezzato in tutte le sue sfaccettature. Credo di poter sintetizzare quello che tu hai raccontato come un elogio alla semplicità delle piccole cose, fatte però con il cuore e con l’impegno.
Questo è ciò che noi cerchiamo di portare avanti in questa realtà. Piccoli sorrisi, chiacchiere, gente che ride di cuore, gente che si confronta, che si incazza magari perché ha bevuto un bicchiere in più ma da domani tutti di nuovo amici come prima.
Alla fine tutti con uno scopo comune, fare per amore della comunità, perché la comunità possa continuare ad essere tale e non ridursi ad un numero di persone barricate nelle proprie abitazioni. Senza ambizioni personali, senza volersi sentir dire “bravi” da nessuno e con quell’unico, enorme ringraziamento che è dato da chi da queste feste ne esce soddisfatto e con il sorriso sulle labbra, pronto a tornarci “un altr’anno a ‘sta stagione”.
Flavio